“Osare più Europa”, Beppe Grillo e i referendum popolari

 “Osare più Europa”, Beppe Grillo e i referendum popolari

Benedetto Croce si domandava: “Possiamo non dirci cristiani?”. E noi oggi: “Possiamo non dirci europei?” La risposta è no, non possiamo non considerarci europei. Ma l’integrazione non può più reggersi su convenienze opportunistiche nell’ottica dell’interesse nazionale. Alla kermesse del Movimento cinquestelle al Circo Massimo a Roma Beppe Grillo lancia, tra l’altro, il referendum sull’uscita dall’euro. “Entro maggio – afferma – raccoglieremo un milione di firme per una legge di iniziativa popolare”. Sul tema euro sfida anche la Lega e un pezzo di Forza Italia. Dopo aver tanto parlato di andare fuori dalla moneta unica firmeranno, si chiede, il referendum? Di provocazioni nella tre giorni romana del M5s ce ne sono a gogò. Tutte finalizzate a “stupire per rilanciare”. Dai soliti attacchi a Giorgio Napolitano che avrebbe impedito l’ascesa al governo dei grillini, all’inutilità del Parlamento, al Jobs act che “creerà milioni di nuovi disoccupati”. L’affondo poi ai giornalisti rompi c… è di prammatica e non fa quasi più testo. Tra le tante cose urlate da Grillo, sia da terra che dal cielo – dalla gru dove si è fatto issare -, quella più realistica e pericolosa è relativa al referendum. Perché la commistione euro-Europa, in una lettura semplicistica fatta da molti, è condizionante. L’euro è l’Europa, e i distinguo per far comprendere che l’Unione non può essere vista e considerata in virtù solo dell’euro, sono difficili da comprendere. Proprio quando ci sarebbe bisogno di più Europa per far fronte ad un mondo globalizzato, ecco la richiesta del ritorno al passato nell’ottica “che si stava meglio quando si stava peggio”. Forse i guru dei pentastellati – Casaleggio e Grillo – non sanno che in atto c’è già un referendum di segno opposto a quello da loro indicato. La raccolta di un milione di firme, in base al Trattato di Lisbona, in sette paesi dell’Unione, per chiedere l’attivazione di un Piano europeo straordinario per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione. Per i promotori dell’iniziativa, “New deal 4 Europe”, il piano, che deve essere di almeno 350-400 miliardi di euro in tre anni, dovrà essere finanziato da nuove risorse provenienti: da una tassa sulle transazioni finanziarie; da una “carbon tax” per favorire il passaggio verso le energie rinnovabili; eppoi dalle euro-obbligazioni, in particolare “euro project bonds”. Secondo calcoli della Commissione europea la tassa sulle transazioni finanziarie, necessaria a penalizzare la speculazione, si aggirerebbe intorno ai trenta milioni di euro all’anno, mentre l’imposta per combattere i cambiamenti climatici e favorire le energie rinnovabili frutterebbe un gettito di 50 miliardi di euro all’anno. Benedetto Croce si domandava: “Possiamo non dirci cristiani?”. E noi oggi: “Possiamo non dirci europei?” La risposta è no, non possiamo non considerarci europei. Non fosse altro perché il mondo ci vede tali e, a volte, c’invidia pure. Ma l’integrazione non può più reggersi su convenienze opportunistiche nell’ottica dell’interesse nazionale. Il salto di qualità va fatto “osando” più Europa. Ciò vuol dire che bisogna uscire dal vicolo cieco in cui ci troviamo. Se la moneta è unica e la politica che dovrebbe gestire la moneta non lo è, il pasticcio è fatto. La cultura può fare molto perché il processo d’unificazione incontrovertibile si possa realizzare. Basterebbe ricordare ai giovani – ma non solo – cos’erano e cosa rappresentavano gli stati che oggi formano l’Europa, non solo geografica, nel secolo scorso. Adenauer, De Gasperi, Schuman furono i padri fondatori che seppero avere una visione politica lungimirante, che pur tenendo conto del passato, delle realtà nazionali, degli interessi di parte, “ipotizzarono il futuro”. Non solo per la comune fede cristiana, ma soprattutto per il grande intuito politico che avevano. E’ facile prevedere divisioni cavalcando il malcontento che c’è nel Paese. I voti arrivano, ma poi vanno via se non c’è un progetto meditato di medio e lungo periodo. Nella società dell’incertezza, liquida, come quella che viviamo, dove i cambiamenti epocali sono all’ordine del giorno, c’è bisogno di dare sicurezze a partire dalla politica. L’Europa dei popoli è una certezza.

A cura di Elia Fiorillo

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