Il diabete mellito, considerato ormai una vera e propria pandemia silenziosa, rappresenta una tra le principali emergenze sanitarie globali, con una crescita continua e inarrestabile che incide pesantemente sulla salute pubblica e sull’equilibrio dei sistemi sanitari. Secondo i dati più aggiornati, oltre 4 milioni di italiani – pari al 6,3% della popolazione – convivono attualmente con questa patologia. Le previsioni indicano un incremento che porterà questo numero a superare i 6 milioni entro il 2030. A livello globale, la prevalenza del diabete standardizzata per età è quasi raddoppiata dal 1980 a oggi, passando dal 4,7% all’8,5% tra gli adulti.
La diffusione del diabete è strettamente correlata all’invecchiamento della popolazione: tra gli over 75, la prevalenza sfiora il 20%, e nel nostro Paese 7 pazienti su 10 affetti da diabete hanno più di 65 anni; 4 su 10 hanno superato i 75. Si tratta quindi di una patologia che colpisce in modo trasversale ma che trova il suo picco nelle fasce più fragili della popolazione, contribuendo significativamente alla riduzione dell’aspettativa e della qualità della vita.
Ma il dato forse più allarmante è che il diabete non rappresenta solo una malattia cronica complessa da gestire in sé, bensì un potente moltiplicatore di rischio per numerose altre patologie, in primis quelle cardiovascolari. L’iperglicemia cronica è infatti associata a un incremento del rischio di eventi cardiovascolari maggiori – infarto del miocardio, ictus, scompenso cardiaco – e in generale a una mortalità significativamente aumentata. Si stima che il 43% delle morti legate al diabete avvenga prima dei 70 anni, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, evidenziando l’urgenza di strategie sanitarie più efficaci e accessibili.
Il diabete mellito accelera il processo di aterosclerosi in tutti i distretti vascolari, rendendolo più esteso e grave: i pazienti diabetici hanno un rischio da 2 a 4 volte maggiore di sviluppare coronaropatia, insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale, malattie delle valvole cardiache e arteriopatia periferica. A ciò si aggiunge l’impatto sul rene: la nefropatia diabetica è una delle principali cause di malattia renale cronica, che a sua volta aggrava la compromissione cardiaca e contribuisce a un quadro clinico estremamente complesso e a elevato rischio.
In tale contesto, è fondamentale adottare un modello di gestione multidisciplinare, che metta al centro il paziente e tenga conto delle sue molteplici comorbidità. La semplice cura del diabete come patologia isolata non è più sufficiente: occorre un’integrazione reale tra specializzazioni, in particolare tra diabetologi, cardiologi e nefrologi, in grado di dialogare costantemente per costruire percorsi terapeutici condivisi, aggiornati e personalizzati.
La stratificazione del rischio riveste un ruolo centrale: attraverso una valutazione accurata dei parametri clinici, degli stili di vita e della risposta ai trattamenti, è possibile identificare tempestivamente i pazienti più vulnerabili, per i quali è necessario attivare strategie preventive mirate. Modificare abitudini alimentari, incentivare l’attività fisica, trattare precocemente l’ipertensione, la dislipidemia e l’obesità sono azioni fondamentali che devono essere integrate da un uso razionale e mirato della terapia farmacologica, oggi sempre più avanzata grazie ai nuovi farmaci cardio- e nefro-protettivi.
Il ruolo della formazione e dell’aggiornamento continuo è cruciale in questo scenario. Il corso in cardiodiabetologia si pone l’obiettivo di fornire ai professionisti della salute una panoramica chiara e aggiornata delle più recenti strategie terapeutiche e diagnostiche nella gestione integrata del paziente con diabete e comorbidità cardiovascolari. Un’occasione per condividere esperienze cliniche, linee guida, casi reali e modelli organizzativi di successo, come quello attuato all’Ospedale Antonio Cardarelli di Napoli, dove l’integrazione tra specialisti ha prodotto risultati tangibili nella riduzione degli eventi avversi e nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
Il futuro della medicina passa da un cambiamento culturale profondo, in cui la collaborazione tra figure diverse non sia più l’eccezione ma la regola. Solo unendo competenze, esperienze e visione d’insieme sarà possibile rispondere con efficacia alla crescente complessità clinica del paziente con comorbidità cardio-metaboliche. E restituire alla persona, al di là della malattia, una prospettiva di vita più lunga, più sana e più serena.
M.O