Università Cattolica, al via il Charity Work Program 2014

 Università Cattolica, al via il Charity Work Program 2014

24 studenti in partenza nelle prossime settimane, 103 negli ultimi 5 anni, per un’esperienza di studio e lavoro in paesi in via di sviluppo. Questi i numeri del Charity Work Program, un’opportunità di crescita professionale e personale offerta da Università Cattolica, che rappresenta, in Europa, un unicum tra i programmi di studio all’estero. “Molto più di uno stage, il Charity Work Program non ambisce solo a formare dei professionisti in grado di operare in qualsiasi contesto, ma soprattutto educa alla solidarietà, alla conoscenza, all’incontro con ogni forma di diversità, attitudini sempre più ricercate nel mondo del lavoro”, dichiara Pier Sandro Cocconcelli, delegato del Rettore per l’Internazionalizzazione. Il programma è rivolto agli studenti di tutte le facoltà – con progetti dedicati in particolare agli iscritti a Medicina e Chirurgia, Scienze agrarie, alimentari e ambientali, Scienze politiche e sociali, ma anche a Economia, Giurisprudenza, Psicologia e Scienze linguistiche – a prova dell’importanza trasversale, se non universale, di questa esperienza di crescita. Numerose le destinazioni e le attività proposte: missioni per l’infanzia abbandonata e programmi educativi in Brasile, Etiopia, Sri Lanka e Tanzania-Iringa; progetti agricoli e per la sanificazione dell’acqua a Capo Verde e in India; attività ambulatoriali di supporto al personale medico in Tanzania-Ikonda e Uganda. Tendenza già affermata negli Stati Uniti, il volontariato diventa anche in Italia un’attività da mettere a curriculum, come conferma Roberto Cauda, direttore del CeSi – Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale: “Nel processo di recruitment, la preferenza dei datori di lavoro va spesso a candidati coinvolti in processi strutturati, certificati, dal respiro internazionale e finalizzati a rafforzare la capacità di aprirsi agli altri e far fronte alle difficoltà. Tutte caratteristiche proprie del Charity Work Program di UCSC”. Questo infatti è quanto emerge dalle testimonianze dei titolari delle borse di studio dello scorso anno: Elena Jane Mason, di Roma, studentessa del quarto anno di Medicina e Chirurgia, racconta la sua esperienza al Baobab Medical Center (Bmc) di Biriwa, in Ghana, con l’entusiasmo di chi ha tradotto una lezione di medicina in una lezione di vita: “Ho ampliato i miei orizzonti, individuato le mie passioni, sono tornata a casa con una gran voglia di imparare ancora tanto, per ritornare e fare ancora di più”. Pregiudizi e stereotipi lasciano il posto a una consapevolezza profonda. Lo confida Maria Chiara Gelosa, di Monza, al terzo anno del corso di laurea in Scienze del Servizio sociale, nel 2013 volontaria in una scuola etiope: “I primi giorni ero rimasta colpita dalla povertà del contesto, dalla convivenza con gli animali, da modi di vivere lo spazio diversi da quelli cui siamo abituati. Ma tali differenze sono scomparse in fretta, in quanto superficiali. Molte di più erano le somiglianze: con gli insegnanti, di cui ammiravo il lavoro e la dedizione agli studenti; con i bambini e i ragazzi, che piangevano quando erano tristi, si arrabbiavano se non vincevano, impazzivano per un pallone; con le suore, con cui condividevamo tanti momenti delle nostre giornate, facevamo battute, ci aiutavamo a vicenda. Eravamo tutti sullo stesso piano, a volte stanchi, felici, tristi, ma legati da un filo che ci permetteva di lavorare insieme, con un profondo rispetto reciproco. È stata un’esperienza che mi ha resa più ricca, mi ha aiutata ad apprendere nuove misure con cui confrontare me stessa e il mondo che mi circonda, ma che soprattutto mi ha dato tanta gioia”. Dalla testimonianza di Francesca Gattuso, laureata in Filologia moderna, facoltà di Lettere e filosofia, sede di Milano, emerge l’impossibilità di restare indifferenti, di restare uguali, una volta arrivati in Tanzania, alla fine del mondo: “La continua rincorsa di bisogni artificiali, nati dalla fascinazione verso gli stili di vita imposti dall’Occidente, non possono che scontrarsi con i problemi effettivi che affliggono ancora la nazione. Primo tra tutti, ovviamente, l’Hiv/Aids, flagello diffuso a livello endemico, con un picco spaventoso nella capitale. Per non parlare di povertà, malnutrizione e violazione dei fondamentali diritti dell’uomo. Tutte le domande e i conflitti che l’incontro/scontro con la Tanzania ha generato e continua a generare in me e nelle mie compagne di viaggio sono stati in parte stemperati dalla purezza dell’affetto dei piccoli dell’orfanotrofio, ai quali mi capita spessissimo di ripensare con un nodo alla gola”.

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